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POTICHE - LA BELLA STATUINA
(POTICHE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 dicembre 2010
 
di François Ozon, con Catherine Deneuve, Gérard Depardieu, Fabrice Luchini, Karin Viard, Judith Godrèche (Francia, 2010)
 
Non fosse che per il fatto che sull'estenuante litigio a proposito di "teatro filmato" ci si è messi da tempo il cuore in pace, POTICHE si situa a distanza ravvicinata dai capolavori del genere. E non solo perché le commedie di grande qualità si fanno sempre più rare; e non solo poiché, sempre più raramente, mostri sacri come Catherine Deneuve, Gerard Depardieu, Fabrice Luchini (e personalità forti come Karin Viard o Judith Godrèche) vengono tenuti a bada, impediti ad andare sopra le righe, fornendo il meglio del loro straordinario talento.

Tratta da una pièce di boulevard degli anni Settanta di Barillet e Grédy, ma riattualizzata inserendo tutta una serie di corrosive frecciate all'attualità (gli ormai mitici sarkoziani "lavorare di più per guadagnare di più" e "casse-toi pauvre con"), la pellicola si avvia immediatamente nel senso della facilità, e della felicità, tipiche della sempre più invocata commedia degli anni d'oro. Straordinaria fluidità dell'intreccio, ritmo e armonia dalle squisite cadenze in una luce diffusa nelle tinte pastello d'epoca: per allineare tutta una serie di dialoghi agrodolci, arguti e nel contempo spassosi. Una vicenda, se vogliamo, da femminismo d'epoca, ma alimentato dalla rabbia delle rivendicazioni sociali di tutta una generazione. Con la signora della tradizione borghese afflitta da impossibile consorte, padre-padrone fabbricante di ombrelli nella provincia agiata: a prima vista confinata al ruolo di "potiche", (qualcosa nel genere di "vasellame decorativo"). Ma che finirà, quasi ovviamente, per sostituire il marito bizzoso e reazionario alla testa della storica impresa famigliare minacciata da scioperi e globalizzazioni varie.

Un fulcro drammaturgico ideale, che poggia su una Catherine Deneuve ai vertici più alti della carriera che sappiamo, tutta bigodini e tailleur ovviamente provvisori, fino a ricordarci la sua indimenticabile appartenenza all'universo di Luis Bunuel. Attorno a lei, il campionario degli archetipi del caso, il marito dalla toccata e fuga facile, il figlio allegramente gay, la figlia arrivista, emancipata ma antiabortista, l'ex amante deputato della sinistra locale (un esilarante, e pure commovente Gerard Depardieu), la segretaria più che compiacente alle voglie sbrigative di un Fabrice Luchini forse un attimo sovraesposto.

François Ozon conferma la propria attitudine a filmare il teatro che già era alla base della riuscita di OTTO DONNE E UN MISTERO (2002). Qui vi aggiunge l'agrodolce sarcastico di un genere piuttosto in disuso come quello della commedia politica: riprende le cadenze e gli schemi cari a Molière, ma togliendo ogni accenno di polvere riferendosi a Sarkozy e compagni. Gli riesce la pittura d'epoca e la battuta esilarante, ma accomuna il tutto alla grazia malinconica dei sentimenti che costituisce da sempre uno dei segreti delle grandi commedie.


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